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L’EMPATIA? È UN CIRCUITO NEURONALE

mercoledì 9 dicembre 2020

Maria Luisa Giorno Tempini spiega le basi neurobiologiche dei processi che regolano le nostre emozioni

di Silvia Giralucci

Le emozioni non sono solo questioni che riguardano psichiatri, psicologi e psicoterapeuti. Negli ultimi anni sono diventate sempre più terreno di studio anche per i neuroscienziati interessati a capire quali siano le attività cerebrali coinvolte nelle varie funzioni cognitive. Di questo ha parlato la professoressa Maria Luisa Gorno Tempini docente di Neurologia e Psichiatria all’Università della California San Francisco, dove dirige il laboratorio di Neurobiologia del linguaggio e il Dyslexia Center e membro del Comitato scientifico di Fondazione Zoé – Zambon Open Education nel corso di un incontro de “Gli Orizzonti della Salute”.

Mentre è parte del pensiero comune che il linguaggio e la memoria siano un prodotto del cervello, molto meno noto è il fatto che ci possono essere malattie neurodegenerative che, coinvolgendo i lobi frontali, cambiano il comportamento emotivo e sociale, perché anche il comportamento emotivo e sociale è una questione neuronale. “Si tratta – spiega Tempini – di una scoperta delle ultime due, tre decadi, quindi relativamente nuova per la scienza”.

Bruce Miller direttore del Memory and Aging Center dell’Università di California è stato tra i primi a scoprire il circuito dell’empatia lavorando con pazienti affetti da una particolare forma di demenza nota come “demenza frontotemporale o DET”. Molti di loro avevano perso l’empatia.

Immaginate una malattia che si manifesta inizialmente con il totale disinteresse per i propri figli, il proprio partner, i propri cari. Anche il disinteresse verso una persona malata. Tutto questo distrugge la nostra umanità, i nostri legami affettivi, così quello che ci lega alle persone, la nostra umanità, improvvisamente sparisce.  Studiando le persone affette da demenza frontotemporale i neuroscienziati come Bruce Miller e il suo collega Bill Seeley si sono accorti che alcune parti del loro cervello avevano smesso di funzionare. E proprio l’assenza di empatia ha dimostrato loro quali erano le aree in cui teoricamente essa doveva collocarsi scoprendone. il circuito al suo interno.

Le aree di questo circuito ci aiutano a intuire lo stato d’animo delle altre persone e a reagire di conseguenza con uno stato d’animo corrispondente. Per esempio, ci sono parti del polo temporale e dell’amigdala che sono davvero importanti per aiutarci a capire sensazioni ed emozioni delle altre persone. Questi sistemi agiscono sulla corteccia cingolata anteriore che a sua volta genera una risposta emotiva tramite il sistema nervoso autonomo in tutto il corpo e nel volto, ed è così che nasce questa reazione emotiva. Una struttura importantissima in questo sistema è l’insula, una porzione del cervello che ci aiuta a rappresentare i nostri stati d’animo. Perciò non basta che il cervello generi una reazione emotiva, serve anche una reazione fisica corrispondente, nonché questo monitoraggio dei segnali interiori. E ogni volta che abbiamo accesso a queste sensazioni interiori, possiamo valutare meglio i nostri stati d’animo e agire in maniera empatica.

“L’empatia – afferma Tempini – è un comportamento complesso perché richiede una componente cognitiva (vedo e mi metto nei panni e cerco di capire) e una parte viscerale che mi fa sentire quello che sentono gli altri. Sono due parti che funzionano in modo diverso e non è detto che le persone le abbiano entrambe: c’è chi è bravissimo a capire le situazioni ma non sente niente. C’è chi invece, come le persone ansiose ed emotive, sente molto ma poi invece non è in grado di regolare e di mettere nel contesto. Ora abbiamo la consapevolezza che l’empatia non è un concetto fumoso, ma scienza allo stato puro”.

 

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