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IL CERVELLO E IL MISTERO DELLE LINGUE

martedì 16 marzo 2021

Il neuroscienziato Andrea Moro esplora i confini di Babele

di Silvia Giralucci

Andrea Moro è lo studioso che è riuscito ad avvicinare tra di loro due campi del sapere: la linguistica e la neurologia.  Insegna Linguistica generale presso la Scuola Universitaria Superiore IUSS di Pavia, dove ha fondato il centro di ricerca in Neuroscienze, Epistemologia e Sintassi teorica. Assieme ai suoi collaboratori è riuscito a stabilire la precisa localizzazione della “facoltà di linguaggio”, distinguendola dalle altre nostre facoltà intellettive. I risultati di questo lavoro sono esposti nel libro “I confini di Babele“, pubblicato per la prima volta nel 2006, tornato in libreria in una nuova edizione, arricchita dalla prefazione di Noam A. Chomsky e aggiornata alle recenti scoperte nel campo delle neuroscienze.

Professor Moro, la lingua, in particolare la sintassi della lingua, è un fatto culturale o sta anche nella biologia della specie umana, nella struttura neurobiologica del cervello? 

Questa domanda ha due risposte. Una riguarda lo sviluppo naturale degli esseri umani: siamo portati per natura a usare simboli – che chiamiamo parole – e a comporli per generare pensieri. Anche gli animali utilizzano dei simboli, ma noi siamo gli unici che cambiando l’ordine di questi simboli, ossia utilizzando una sintassi, possiamo generare significati diversi. Questo è sicuramente un fatto naturale: nessuno spiega ai bambini che bisogna emettere le parole per produrre significati, lo si fa esattamente come impariamo a camminare.
La seconda risposta si ricollega a questa domanda: “Queste regole di combinazione sono una convenzione o sono in qualche modo il prodotto della nostra struttura biologica?”.  Tantissime volte nella storia del pensiero occidentale ci si è posti la domanda se le regole della sintassi fossero naturali o convenzionali e culturali.
Ci sono alcune regole che non troviamo mai nelle lingue del mondo. Queste regole sono assenti per una questione culturale o perché il cervello non è progettato per computarle? La civiltà contemporanea ha permesso con la tecnologia di fornire risposte nuove a queste domande.

Infatti, lei è riuscito a dimostrare che la struttura funzionale del cervello di un adulto è sensibile alla differenza tra le regole che seguono i principi universali della sintassi e quelle che li violano. Ci può illustrare in che modo lo ha dimostrato?

Partendo dal fatto che le neuroimmagini ci consentono di vedere l’attivazione del cervello rispetto a certi compiti, con due gruppi di ricerca, una volta in Germania e una in Svizzera, abbiamo costruito un esperimento basandoci sul fatto che esiste un circuito naturale che il cervello attiva quando riconosce dei fatti linguistici ma non se sente altri suoni (se io sento una persona parlare si attiva una certa rete, se io invece sento un cavallo scalpitare se ne attiva un’altra: ossia non interpreto tutti i rumori come se fossero frasi). Per provare il funzionamento del primo circuito ho costruito delle “grammatiche artificiali”. Queste grammatiche artificiali contenevano delle regole che non si trovano mai nelle lingue del mondo. Siamo andati da gruppi di parlanti e abbiamo insegnato queste lingue artificiali. Come avevamo ipotizzato, siamo riusciti a dimostrare che il cervello, se viene esposto a regole che non si trovano mai nelle lingue del mondo, attiva una rete non linguistica. Quindi, in un certo senso, la risposta è che “i confini di Babele”, cioè il limite entro cui stanno le lingue del mondo, non è convenzionale (perché noi non possiamo convenzionalmente attivare o disattivare un pezzo del cervello) ma è naturale. Il cervello riconosce in modo naturale se una struttura è di tipo linguistico o è una struttura che sta fuori dai confini di Babele.

Ci può spiegare che cosa sono le “lingue impossibili”, quelle che, per parafrasare il titolo del suo libro vanno oltre i “confini di Babele”?

Le lingue impossibili sono lingue studiate a tavolino, coerenti, ben fatte, ma non compatibili con il nostro cervello. Un po’ come potrebbero esserci piatti impossibili: un piatto con sassi in brodo di cherosene, non lo mangerebbe nessuno, in nessuna cultura.

Che regole avete utilizzato per costruire queste lingue impossibili?

Quando parliamo siamo costretti a mettere le parole in fila. Si potrebbe pensare che anche le regole della sintassi seguano un ordine lineare e, invece, questo è del tutto falso. Le regole impossibili sono tutte le regole che si basano sulla struttura lineare delle frasi, come se l’ordine delle parole fosse legato a una specifica posizione del trenino della frase. Quello che invece caratterizza tutte le regole possibili è il fatto di raggruppare le parole in blocchi: il blocco del soggetto, il blocco del predicato verbale… Questi blocchi, che possono essere composti da una o più parole, non sono lineari ma sono gerarchici, cioè possono essere costruiti mettendo, per esempio, le costruzioni una dentro l’altra.

Pensa che sia, che sarà possibile, leggere il pensiero?

Quando pensiamo alle parole senza pronunciarle, pensiamo anche al loro suono: i neuroni contengono l’informazione acustica in forma di onda elettrica. Oggi, con le tecniche di awake surgery, la chirurgia con paziente in stato di veglia, possiamo catturare questo messaggio elettrico che passa tra i neuroni. In un esperimento fatto a Pavia abbiamo scoperto che la rappresentazione del suono delle parole nel cervello (ossia l’informazione acustica) è uguale sia quando una persona pronuncia questa parola sia quando la pensa solamente.  Questo apre la possibilità in un futuro, non immediato ovviamente, di andare a catturare dall’interno del cervello l’informazione acustica senza dover passare attraverso la bocca.
Questa scoperta ha due risultati potenziali. Il primo, positivo, riguarda i pazienti con disturbi periferici del linguaggio, che non sanno articolare i suoni: potremmo andare a pescare dai circuiti reconditi del cervello l’informazione e trasmetterla all’esterno. Ma c’è ne è anche un altro veramente molto meno allegro e ottimista: una polizia del futuro potrebbe in teoria andare a pescare nel nostro cervello qualcosa che non vogliamo dire.

Una prospettiva da fantascienza…

Come sempre, le scoperte scientifiche sono scoperte, poi l’indirizzo etico lo dà la decisione di chi le usa. Anche il coltello non si sa se sia invenzione buona o cattiva perché può essere usato per affettare pane e sfamare le persone, ma potrebbe essere usato anche per affettare il proprio fratello.

 

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