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PRENDERE DECISIONI: COME DIFENDERCI DAI BUG DEL NOSTRO CERVELLO

mercoledì 15 luglio 2020

Dalle scelte personali a quelle dei politici nella sanità pubblica. Dialogo con Daniela Ovadia, docente di Neuropsicologia e giornalista scientifica

di Silvia Giralucci

Com’è possibile che una persona intelligente, istruita e motivata a fare una dieta, in una sera di particolare tristezza mangi un’intera torta? Quali sono i meccanismi che guidano il nostro cervello nei momenti in cui deve prendere decisioni? L’argomento è diventato di interesse ancora maggiore in questi ultimi mesi quando politici e amministratori di tutto il mondo, e anche tutti i cittadini, si sono trovati a dover prendere decisioni sui comportamenti da adottare per limitare gli effetti della pandemia, senza avere tutte le informazioni di cui ci sarebbe stato bisogno e, soprattutto, senza essere in grado di interpretarle, mano a mano che arrivavano dalla comunità scientifica. Il tema è stato al centro dell’incontro con Daniela Ovadia, giornalista scientifica e docente di Neuropsicologia forense all’Università di Pavia, organizzato da  Fondazione Zoé – Zambon Open Education con Il Giornale di Vicenza.

La difficoltà di prendere decisioni razionali è nella difficoltà di elaborare correttamente i dati disponibili perché il nostro cervello ha dei “bug” che, in diverse situazioni, rendono difficile fare correttamente stime probabilistiche e nel fatto che gli esperti che consultiamo non sempre sono davvero competenti e a volte, col tempo, finiscono per associarsi a una certa posizione scientifica, area di interessi, posizione politica, rendendo così meno efficace le loro analisi.

“La capacità decisionale – spiega Daniela Ovadia è un processo volontario il cui risultato è una scelta tra diverse opzioni. Alcune decisioni sono prettamente cognitive, altre hanno in sé caratteri emozionali. In tutti i casi, per prendere una decisione dobbiamo valutare qual è il livello di rischio”. E qui è il primo problema: perché la propensione a correre un rischio non è razionale, ma una caratteristica innata di ciascuno. “Ci sono persone – dice Ovadia – cha amano giocare d’azzardo e altre che lo odiano. Tra quelle che giocano d’azzardo la maggior parte è attratta dalla probabilità di vincere, anche poco ma spesso (ad esempio con il “Gratta e vinci”), altri che preferiscono un rischio più grande per una posta in gioco più grande (come ad esempio nel poker o black jack)”.

In generale poi il nostro cervello ha un problema con il calcolo delle probabilità. “Tendiamo tutti – ci spiega Ovadia – a sovrastimare le piccole probabilità e sottostimare quelle grandi. Un esempio? Basti pensare a quanti sono disposti a rischiare per giocare alla roulette nonostante le scarse probabilità di vincere, o, al contrario, a quante poche persone sottoscrivano un’assicurazione per malattie o perdita bagagli durante i viaggi che invece sono eventi che capitano molto frequentemente”.

Per la salute questo è un problema: “Per prendere scientemente decisioni nel campo della salute – afferma Ovadia – bisognerebbe basarsi sul calcolo probabilistico, sapere esattamente qual è la misura del rischio che corriamo ed essere capaci di pesare questi rischi in modo razionale.

In quest’ultimi mesi abbiamo capito quanto sia difficile basare le proprie decisioni sulle opinioni degli esperti, non perché gli esperti si sbaglino, ma perché uno dei problemi con il principio di autorità è che siamo convinti che esista una verità fattuale, unica, non discutibile, ma per la maggior parte delle questioni scientifiche non è così. La medicina non è una scienza esatta ma una scienza in rapida evoluzione, soprattutto in condizioni come quelle che abbiamo vissuto negli ultimi mesi: ci sono stati cambiamenti anche repentini delle conoscenze perché la scienza funziona per avanzamenti e di fronte a una malattia nuova ogni giorno riduciamo la nostra incertezza”.

“Ogni scienziato – dice Ovadia – si fa una propria idea su come deve essere gestita questa pandemia, perché pur partendo dagli stessi dati fattuali li legge alla luce delle proprie convinzioni e della propria esperienza personale. È proprio per questo che l’opinione di un singolo esperto non è mai una buona modalità per prendere decisioni. È invece utile mettere sempre tanti esperti insieme perché insieme trovino un equilibrio tra letture diverse degli stessi aspetti fattuali e ci aiutino come singoli ma anche come politici a prendere le decisioni più corrette in una situazione di incertezza”.

Che cosa contraddistingue un buon esperto? “In generale – conclude Ovadia – ci conviene affidarci alle istituzioni collettive (OMS, istituzioni pubbliche, società scientifiche…), ed evitare gli esperti che danno contributi solo formali, quello che giornalisticamente si chiamano “virgolettati”, ma ricercare quelli che forniscono contributi anche di sostanza. È molto importante che gli esperti siano chiari perché un messaggio non chiaro è un’occasione perduta nei confronti del pubblico. Inoltre va evitato che l’esperto col tempo finisca per essere identificato con una certa posizione scientifica, area di interessi, posizione politica…perché questo va a danno dell’interpretazione fattuale”.

E infine, come si spiega con il cervello razionale l’abbuffata di una persona che è a dieta? “C’è un’intelligenza strumentale che ci guida nei comportamenti: se sono molto triste, mangio anche se so che mi fa ingrassare, ma nello stesso tempo quello è l’unico modo che ho in quel momento per stare meglio. Risponde a una mia necessità”.

 

Photo by Jan Genge on Unsplash.