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COVID-19: COME CAMBIANO I NOSTRI COMPORTAMENTI, E LE RIPERCUSSIONI SULLA SALUTE MENTALE

lunedì 29 giugno 2020

Incontro con la neuroscienziata Cristina Maria Alberini

di Silvia Giralucci

 

Ansia, disturbi dell’umore e del sonno, apatia, aggressività, fino a patologie più gravi come depressione, disturbi da stress post traumatico, psicosi, dipendenza da alcol e sostanze d’abuso, suicidi. Tutte queste patologie aumenteranno significativamente dopo l’esperienza del Covid e le persone già oggi più vulnerabili saranno quelle a maggior rischio di cadere nelle forme più gravi. Lo afferma la professoressa Cristina Maria Alberini, che nel corso dell’incontro “COVID-19: come cambiano i nostri comportamenti, e le ripercussioni sulla salute mentale” – parte del ciclo Gli orizzonti della Salute organizzato dalla Fondazione Zoé – Zambon Open Education in collaborazione con Il Giornale di Vicenza – ne ha parlato con Mariapaola Biasi, direttore generale della Fondazione Zoé.

Cristina Maria Alberini è Full Professor in Neuroscience al Center for Neural Science (CNS) della New York University ed è da tempo impegnata in studi sul funzionamento della memoria, in particolare su come le situazioni di stress influiscono sulla memoria. “La pandemia che stiamo attraversando – spiega – avrà importanti conseguenze che vanno oltre i problemi polmonari, o cardiaci o respiratori. Anche chi non è stato direttamente colpito dal virus potrà avere ripercussioni sulla salute mentale. Una forte e inattesa situazione di stress crea un persistente stato di confusione e incertezza. Le ripercussioni che ci saranno non sono facilmente calcolabili perché sappiamo poco di come funziona il cervello in situazioni di emergenza come questa, e perché non ci sono sistemi per misurare in modo efficace e accurato le conseguenze di questi problemi”.

Durante la pandemia la paura di ammalarsi, di infettare, di perdere familiari, amici, parenti, di perdere il lavoro e la capacità di sostentamento, assieme al senso di incertezza verso il futuro, hanno creato in molti una paura generalizzata, ossia uno stato di ansia. L’isolamento è di per sé una situazione di stress perché noi siamo animali sociali, e togliere la capacità di interazione sociale toglie una serie di stimoli al nostro cervello. “Inoltre – afferma Alberini – traumi e disastri del passato ci insegnano che si tratta di una questione da non sottovalutare, soprattutto per le persone più vulnerabili”.

Lo stress non è di per sé un male per la nostra mente. Anzi, un leggero stress provoca il rilascio di una serie di ormoni che aiutano la nostra memoria a far entrare i ricordi nel circuito delle memorie a lungo termine. “Il nostro cervello – dice Alberini – lavora per farci ricordare gli eventi negativi che potrebbero potenzialmente intaccare la nostra sopravvivenza”. È per questo che gli eventi che hanno una certa carica emotiva vengono ricordati meglio: perché i sistemi ormonali attivati durante queste esperienze possono modulare il consolidamento delle memorie. Tuttavia, se l’emozione è troppo forte, come in un evento traumatico, la memoria è alterata: non ci si ricorda più bene degli eventi, dei dettagli, ma ci si ricorda dello stato emotivo. Un evento traumatico porta un maggior rilascio di ormoni dello stress ma meno dettagli delle memorie dell’evento.

“Uno stress cronico, prolungato nel tempo, come quello che abbiamo vissuto durante l’emergenza Covid, è paragonabile a ciò che vivono i militari durante i conflitti: molto spesso si portano un bagaglio di problemi associati ai comportamenti e a volte anche problemi di salute mentale”, afferma Alberini. È noto che il 20 per cento dei militari che partecipano ad azioni di guerra sviluppa un disturbo da stress post traumatico (PTSD). “Abbiamo condotto degli esperimenti – racconta Alberini – per capire perché il 20% delle persone che sono coinvolte in situazioni stressanti come guerre e pandemie sviluppano un PTSD, mentre gli atri no. Abbiamo riprodotto questi livelli di stress in laboratorio e abbiamo visto che il cortisolo è uno dei meccanismi principali che causa questa variazione di comportamenti e variazione di reazioni biologiche nel cervello. Abbiamo inoltre visto che se diamo del cortisolo dopo una prima esperienza traumatica riproduciamo i sintomi del PTSD. La nostra conclusione di questi studi è stata che le esperienze di traumi ripetuti e imprevedibili favoriscono la comparsa del PTSD”.

Per concludere, che cosa si può fare per limitare i danni dello stress provocato dal Covid 19?

“Sappiamo ancora molto poco – dice Alberini – ma di certo le patologie gravi come depressione, PTSD, dipendenze, aggressività, impulsività incontrollabili, pianificazione dei suicidi, vanno curate dagli psichiatri. Il sistema deve aiutare tutti a capire che queste sono malattie che vanno curate da chi è esperto. Per le patologie meno gravi, uno psicoterapeuta può aiutare la risoluzione. Per tutti bisogna cercare di capire come ridurre i livelli di stress, cercando di comprendere la situazione”.

 

Photo by Annie Spratt on Unsplash.